Riflessione 28 -2023

Al centro della parabola di questa domenica Gesù pone il seme: è lui il protagonista. Seme che è la Parola rivelata dal Padre per bocca di Gesù. Il messaggio è chiaro: il seme agisce da sé, a prescindere, è efficace al di là della bravura del seminatore o della qualità del terreno. Il seminatore semina sempre con abbondanza, anche se è sotto gli occhi di tutti che per tre quarti delle volte la semina è destinata a fallire, ma una volta su quattro il risultato è stupefacente, ben al di là delle aspettative. La parabola è un incoraggiamento e racconta la logica di un Dio che lascia liberi di accogliere e di ascoltare il suo messaggio, oppure di rifiutarlo, o di accoglierlo parzialmente. La Parola viene gettata a piene mani da Dio, da Cristo, da noi discepoli, poi, cosa accade? Arriva a noi che siamo il terreno. Se il seme cade sulla strada, su un cuore indurito, viene Satana e lo porta via, come un corvo che cala sulle granaglie. Da brividi. La Parola che cade sulla strada è destinata a sparire. Un cuore indurito, pietrificato, asfaltato, è impermeabile alla Parola e, quindi, a Dio. Apparentemente è impossibile da cambiare. Non per Dio, che semina anche sull’asfalto e insiste, perchè Dio è un inguaribile ottimista. Poi Gesù continua: se il seme trova anche solo un briciolo di terra, germoglia. Ma ha bisogno di costanza, per crescere. Così accade ad alcuni discepoli che subito accolgono la Parola con entusiasmo. Ce ne sono di persone così, adulti che riscoprono la fede grazie ad un viaggio, ad una giornata di ritiro, ad un’amica credente che li coinvolge. Ed è bello vedere nel loro sguardo lo stupore di scoprirsi amati da Dio e la voglia di conoscere. La fede diventa una parentesi della vita, anche felice, certo, ma una parentesi. Il seme va coltivato, va protetto dal sole troppo caldo, dalle intemperie. La Parola va custodita, approfondita, meditata, pregata. Gesù continua. Diversa è la situazione del seme che cade tra i rovi, ove sotto si trova comunque un terreno buono. E' il seme di chi ha costanza, di chi accoglie la Parola e la custodisce ma intorno a lui crescono altri interessi che si ingrandiscono e, alla fine, soffocano la Parola che rimane, ma non porta frutto. È presente, ma inutile. Sopraggiungono le preoccupazioni del mondo, oppure la bramosida del denaro o altri interessi e così la nostra vita e la nostra anima vengono contagiate e soffocate. Ma esiste un’ultima possibilità, un finale colmo di speranza. Esiste un terreno buono che accoglie e porta frutto, tanto frutto. In cui la Parola scava i cuori, cambia la vita, modifica le scelte, converte e produce un gran raccolto: trenta, sessanta, cento per uno, molto più di quanto immaginiamo o speriamo. Ed è proprio ciò che accade: a fronte di tanto insuccesso, agli occhi degli uomini, resta il fatto che milioni di persone, accogliendo il vangelo, hanno radicalmente cambiato la propria vita. Noi fra questi. Chi è il terreno buono? Forse chi si è ritrovato nei terreni precedenti... Chi, leggendo, ha ammesso davanti al Dio di essere impietrito, asfaltato, di avere un cuore scostante. Chi ha sentito il desiderio immenso di portare frutto, di diventare terreno fecondo che fa fiorire la vita. Vale la pena di riflettere su questo aspetto: leggere la nostra vita, le nostre vicende, il nostro passato per vedere quanto l’incontro col vangelo ci abbia cambiati. E anche noi possiamo dire che avere accolto il vangelo della nostra vita ha comportato qualche rinuncia. Ma ci ha dato cento volte tanto (Mt 19,29). Viviamo tempi difficili, pare. Ma straordinari. Di verità, di conversione, di passione. Brucia, Cristo, nei nostri cuori. Siamo seminatori di querce alla cui ombra non riposeremo. Buona Domenica.